| Si, Forsons, ma tu a volta lanci ami spropositatamente grandi... Non è cosa a misura di Forum di discussione argomentare sul "Curioso caso di Benjamin Button" di cui certo sappiamo tutti. Io ho visto il film, ma non ho letto il libro. In cambio se ne dibatté (a "film fresco uscito") su un serioso Forum parafilosofico che allora mi onorava della sua ospitalità (non so se esista più), e non fu un dibattito veloce né agevole. Perché, vedi, non si tratta della fantasia su un "caso curioso", ma su una ipotesi socialmente, oltre filosoficamente complessa assai. Alla fine, se non ricordo male, tutti o quasi eravamo d'accordo sul fatto che in definitiva non ci sarebbe piaciuto né essere un Beniamin Button, né tantomeno vivere in un mondo parallelo dove quello "sviluppo al contrario" fosse la norma naturale. Nessuno arriverebbe a vedere la fanciullezza e tantomeno l'infanzia, fu fra le conclusioni prevalenti. Tutti si suiciderebbero molto prima. ................................................................................... Riprendendo il filo dei "fuori tema", ma così succede spesso quando si chiacchiera fra amici, voglio pubblicare una mia antica esperienza, punto importante nella mia biografia, che mi è occorso di rispolverare ieri sera per farne omaggio ad una mia gradita ospite. Si chiama "Tommaso" e non so quanto sia comprensibile nei suoi risvolti emozionali. Se fosse poco chiara, chiedete pure, mi sforzerò di spiegarmi meglio --------------------------------------------------------------------- .
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TOMMASO Questa storia è nuova di vent’anni. Nel senso che la racconto, spesso, da vent'anni, ma non l'avevo mai scritta prima. Ed ora invece l'ho scritta, e per due motivi: perché nella mia mente è fresca ed immediata com'era allora (ché non sono stato capace di romanzarla nemmeno nel ricordo), e perché penso che se ora muoio non la racconterà più nessuno, ed è un peccato, perché è una storia che va ricordata.
Comincia così.
Ero in un incontro spirituale, (una Mariapoli, per chi sa cos'è, ma altrimenti non importa), uno di quelli in cui si cerca di chiarirsi qualche idea e mettere un po’ d'ordine nella propria anima, e si cerca di farlo insieme agli altri perché qualcuno ha scoperto che ci si riesce meglio. Uno di quei rari "meeting” in cui non occorre fare il saputello e puoi dire senza vergogna allo sconosciuto che incontri nell'intervallo: «ho capito pochissimo…, solo questo», e glielo racconti, e quello ti risponde: «beato te, io avevo capito ancora meno…, solo questo » e te lo racconta. E tu, alla fine della giornata, ti rendi conto che grazie alle conferenze, ma più per i molti ripassini fatti nei corridoi, hai capito un mucchio di cose.
Ero dunque in un incontro così e qualcuno dei Capintesta ci fa, pressappoco: «Se siete contenti..., stasera, dopo cena, dovreste 'fare i perni' per un gruppetto di famigile che partecipano per la prima volta, cosicché loro si sentano a proprio agio, si sentano amati, e se hanno qualche problema ve lo possano esporre liberamente... . 0 qualche dubbio...»
Posso fermarmi?... E' chiaro in quale casino ci stavano buttando?... Rosaria ed io, (si, c'era anche mia moglie ed ha fatto la sua buona parte, anche se io questa storia la racconto sempre come mia), cercammo di glissare, di scansarci, di evitare la rogna, ma con certi Capintesta c'è poco da fare; l'espressione poi "Se siete contenti", nel gergo di questa gente equivale al più perentorio degli ordini. E così, dopo esserci affidati a Dio come di consuetudine (ma quella volta più per fifa che per fede), per la prima volta, facemmo i "perni di famiglie Nuove".
Erano una ventina di persone in tutto, quelle del nostro gruppetto, e Tommaso parlò quasi per ultimo, dopo sua moglie e briosamente ci raccontò di sé, della sua vita, del suo ambiente, del matrimonio.
Entrambi medici, esercitavano in una grossa cittadina vicino Potenza. Non ricchi, non poveri, senza grossi problemi personali o familiari, simpatici, colti, stimati in paese, parecchi amici.
Poi Tommaso concluse:
«Ed ora lasciatemi essere chiaro: devo spiegare perché sono qui. Sono qui solo ed esclusivamente a causa di un ricatto di mia moglie che ha barattato la mia partecipazione a questo vostro incontro con la sua partecipazione ad un viaggio nella Sicilia Classica che invece voglio fare io.»
Ecco, io lo immaginavo che qualcosa doveva andare storto, e che noi non eravamo pronti a guidare i gruppi.
«Comunque - continua Tommaso - Non preoccupatevi per me. lo mi sforzo di essere una persona civile e so tener fede ai miei impegni. Il fatto che io sia e voglia continuare ad essere assolutamente ateo non mi impedirà di partecipare con attenzione ad ogni incontro, seminario, intervento o conferenza che occorra. Solo, vi prego, non tentate di convertirmi, se possibile. Perdete tempo voi, e scocciate a me.»
Fu di parola, Tommaso; esemplare, devo riconoscere. Puntuale ad ogni incontro, sempre partecipe interessato ed interessante, critico acuto ma mai irriverente, obiettivo ma rispettoso delle altrui convinzioni. Ma laico. Di quella laicità assoluta che contraddistingue gli atei per convinzione (e sono pochi) ben distinti dai più, gli atei per strafottenza.
Sempre presente ed amichevole, devo dire che Tommaso non fu per me una difficoltà da affrontare, ma fu piuttosto il moderatore che mi occorreva per tener a freno l'entusiasmo che mi spingeva a suscitare chissà quali conversioni o ardori missionari nel gruppetto affidatomi.
Se questa prima prova da “perni" non andò malissimo, certamente fu merito anche suo.
Ci perdemmo di vista subito dopo la Mariapoli. Potenza era, come si diceva, di un'altra zona e per alcuni anni non ci siamo più visti. Tommaso e la moglie, ma soprattutto lui, erano vivi solo nel ricordo di quella nostra "prima volta".
Una sera, ricordo che ero appena rincasato dall'ufficio, mi telefona un conoscente, più di me interessato al movimento spirituale cui accennavo prima e mi accenna a Tommaso; io ovviamente lo ricordo immediatamente e lui mi invita ad andare al Cardarelli:
«Sai, Tommaso sta male, ha un tumore, ha piacere di rivederti. Se sei contento... ».
Beh, questa volta contento lo sono davvero. Non del tumore certo, ma del fatto di essere stato avvertito, e soprattutto del fatto che Tommaso si ricordi ancora di me.
Corro subito, e non mi viene nemmeno di pensare che io gli ospedali li odio, e mi deprime entrare nelle corsie: non sono fatto per l'assistenza ai malati...
Mi riconosce subito e mi viene incontro per abbracciarmi. Barcolla un pochino ma ha la faccia di uno che ha vinto alle corse:
«Benvenuto, benvenuto, come stai?, vieni; che ti faccio conoscere gli amici...»
Per la prima volta percepisco la stanza, ed i suoi occupanti. Sei uomini in tutto, uno nel letto, altri quattro in pigiama giocano a tressette su un tavolino, e Tommaso che mi mostra loro come un suo avere prezioso. L'atmosfera è serena, quasi gioiosa direi, nonostante che gli uomini siano evidentemente malati e chiaramente adusi alla sofferenza:
«Ecco, questo è Lucio, che come vedete è venuto subito come vi avevo garantito - comincia Tommaso rivolgendosi ai compagni di stanza che attentissimi sembrano succhiare ogni sua parola – ora ci farà un po' compagnia. Vedi - rivolgendosi poi a me - ho parlato loro di te e di come e quando Dio ha voluto che ci incontrassimo, e come ha voluto che tu fossi lo strumento nelle sue mani per agire su di me; ho raccontato pure di quant’eri imbranato e ci siamo fatti un sacco di risate alle tue spalle!... ma tanto tu non ti arrabbi e noi ce lo possiamo permettere. Sai - abbassa la voce come per rivelare un segreto, ed attirando ancor più l'attenzione - ufficialmente noi tutti abbiamo l'epatite B, e dobbiamo aver pazienza e sopportare i dolori, ma quando siamo fra noi (e tu sei dei nostri) e non ci sono visite, possiamo dirci la verità. Nessuno di noi sarà più qui fra tre mesi (io lo so bene, le diagnosi cliniche le so fare, ti ricordi che sono medico?), ed abbiamo quindi pochissimo tempo per divertirci e goderci la vita, ma anche pochissimo tempo per il lavoro che dobbiamo svolgere... Eh si, mio caro, un mucchio di lavoro... o tu credi che Dio sia un sadico che ci tiene qui dentro senza motivo, solo per godere delle nostre sofferenze? Se ti vengono questi pensieri stai attento! perché sono tentazioni! perché si, ci sta pure il Diavolo e si mette in mezzo a rompere!...
E noi abbiamo il nostro lavoro da svolgere; ed è importante e faticoso!... vedi tutti noi che moriamo nella sofferenza, e che abbiamo capito qualcosa, siamo chiamati ad insegnare agli altri, a quelli che ancora sono vivi e forti, a vivere bene, a morire bene, a vivere con amore per poter poi a propria volta morire per Amore. Ed è così: ora noi, noi sei, stiamo morendo per amore di Dio e con amore per il prossimo; e le sofferenze, anche le sofferenze, ci sono più lievi, e non ci fanno disperare.... - un annuire del capo degli altri conferma le parole di Tommaso - siedi, ora ti spiego».
Mi siedo su un letto. Tommaso, una volta di più, mi intriga, mi affascina, mi stupisce.
«il dolore - parla per me, ma lo ripete anche agli altri - è fatto di due parti, distinte ma intimamente collegate. Una è quella fisica, più facilmente studiabile ed in effetti più approfondita dai nostri scienziati, che consiste in messaggi elettrici e chimici, che si appoggia a ricettori e neurotrasmettitori e serve all'organismo come risposta ed allarme per stati di malessere o di trauma eccetera. Lo abbiamo tutti ben presente.
L'altra parte invece è di natura concettuale, cioè è nel dominio del pensiero, della razionalità e della psiche. E' l'analisi della “motivazione, del dolore”... mi spiegherò con un esempio semplice: la puntura dell'ago della siringa genera meno reazione e fa meno male di quanto ci si aspetterebbe, perché tu “sai” che sta arrivando, che durerà poco, che è indispensabile e che servirà a farti star meglio. Cioè, nella capoccia ti fai una ragione del perché di quel dolore, e lo accetti, ed il dolore, che non diminuisce affatto di intensità, vista la natura oggettiva, chimico fisica della sua genesi, ti diviene però “sopportabile”.
Troppo ovvia conseguenza di quanto ho affermato è che più forte è il dolore, più grande deve essere la “motivazione” che può rendertelo sopportabile.
Ed ora quindi torniamo a noi: il dolore dei malati terminali di cancro, è notoriamente... “ non c'è male”!...; e noi ne abbiamo esperienza. Ma, come dovresti sapere bene anche tu, l'Amore di Dio è infinito, e quindi comunque ampiamente sufficiente a motivare qualunque livello di sofferenza. Perciò non preoccuparti per noi, e spiegalo anche agli altri, a quelli che ti hanno mandato: noi stiano sereni, noi moriamo tranquilli. Per quello che ti ho spiegato e per un terzo motivo, per la terza parte del dolore, che ora ti dico. E' la parte che unisce il naturale al soprannaturale, il fisico allo spirituale, il concreto alla fede divina.
Il dolore fa male, perché se ne ha “paura”, perché non sai quanto diverrà grande e se lo saprai sopportare senza impazzire. Ebbene, chi ha fede sa bene anche un’altra cosa: Dio è padre e dà il freddo secondo i panni.
Nessun padre sottoporrebbe mai un figlio ad una prova che lui non può sopportare! E quindi non dobbiamo aver paura di non farcela!». Lucio Musto 3 luglio 2000
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